Chionzo: un blog che vi lascerà a bocca aperta

12 Feb

Come avevo già detto, l’idea era in fermento, così ecco che ho dato immediatamente vita al nuovo blog.
Lo so, la mia latitanza letteraria (questa via di mezzo tra logorrea e dissenteria), è durata poco.
Ricominciare d’accapo però è una bellissima sensazione.
Quindi, se vi va di farvi un giro, venite a trovarmi su Chionzo – un blog che vi lascerà a bocca aperta!
Un abbraccio a tutti.

Il blog chiude, sul più bello

9 Feb

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So che è una cazzata, visto che negli ultimi tre mesi ho fatto più visualizzazioni che negli ultimi anni di vita, ma sento la necessità di chiudere questo blog. 

Un paio di settimane fa ero in macchina con amico che mi faceva notare come il mio modo di scherzare, di scrivere e fare battute fosse molto in debito a certi comici americani. La cosa lì per lì non mi è parsa strana: ne sono consapevole e non la trovo una cosa negativa, anche perchè questa è una cosa che faccio senza scopo, così per divertirmi, senza ambire davvero a nulla.
Poi, però, ha aggiunto: “Dovresti trovare un linguaggio tuo”.
Ed io senza pensarci ho risposto: “Sì, ma alla fine quello fa parte del personaggio”.

Queste parole mi sono ronzate nella testolina tipo mosche alla sagra della merda, facendomi ricordare da dove viene questo sopranome: Umbertoskj.
Nei tempi in cui frequentavo la facoltà di legge (prima di diventare un giurispentito) mi iscrissi al forum degli studenti, mi registrai con quel nick e decisi che non avrei scritto mai nulla di serio. Pian piano i post che alternai definirono un personaggio quasi carnascialesco, di quelli che si potrebbero trovare in un teatro di marionette.

Il punto è che arrivato vicino ai 30, per quanto possa voler bene alla mia bella maschera, mi sono anche annoiato di lei.
Non so, quindi, se aprirò un altro blog, ma ho la necessità di mettere un po’ al riposo il buon Umbertoskj e tornare a starmene da solo con me stesso.

10 consigli per gli utenti di facebook

5 Feb

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1.
Non metterti i “mi piace” da solo; a meno che tu non sia il tipo di persona che si batte anche il cinque da solo.

2.
Sì, quella ragazza ha una foto con un costume da bagno che gli strizza le zizze, ma questo non vuol dire che puoi mandargliene una tua col birillo di fuori.

3.
Hai copiato un aforisma di Marco Fabio Quintiliano?
Proprio tu che sei ignorante come un parcheggiatore abusivo dipendente dal bingo!
Guarda che non ci vuole niente a fare copia-incolla su Google e sputtanarti…

4.
Il profilo di coppia è come un figlio: non fatelo se non siete sicuri di vivere per sempre insieme felici.

5. 
Se lei/lui mette “mi piace” al tuo status non vuol dire che ti si vuole fare.
(Fattene una ragione!)

6.  
“Che bello, finalmente esco di casa e vado al mare”.
E’ la stessa cosa che pensano due topi di appartamento quando leggono questo tuo status, dopo che ti hanno followato per tre mesi.

7. 
Se sei di Grumo Nevano e poi segni che vivi a a Los Angeles, non sorprenderti che gli amici del bar ti sfottono quando vai a fare l’aperitivo alle nove del mattino.

8.
L’abbiamo capito che “lavoro per me stesso”, ma almeno smettila di lamentarti che il tuo capo è uno stronzo.

9.
Ok, sei figo/a!
Ma leva quella foto di te a mare: è febbraio, solo a vederla mi fai venire freddo!

10.
Non postare mai lo status “Ieri seratona”. Specialmente quando sono scattate foto di te in lacrime fuori al Galleria 19, che ti disperi perchè la tipa che ti sei portato nel bagno all’anagrafe si chiama Gaetano Scognamiglio.
A meno che, ovviamente, non sia proprio quella la tua idea di “seratona”.

Matrimonio: not in my name!

30 Jan

Il vero problema per la mia generazione non è tanto l’assenza di lavoro, quanto le coppie di amici che continuano a sposarsi malgrado questo. Coppie che non apparano 1200 euri di bananalandia al mese e che  decidono di sposarsi e, magari, mettere al mondo anche un piccolo stronzetto.
Per carità, non ce l’ho col futuro nascituro, ma coi genitori che si ritrova sarà già tanto se non entra a Casapound, oppure non mette on line delle foto in cui mima i chionzi.

Mariarosaria Giannetti: attuale campionessa  di mimo dei chionzi. (Somiglia a Sasha Gray ma non fateci caso)

Mariarosaria Giannetti: attuale campionessa di mimo dei chionzi. (Somiglia a Sasha Gray ma non fateci caso)

Ma il problema o, la tragedia che dir si voglia, riguarda noi poveri invitati che ci ritroviamo lo stesso in un mondo di precariato, ma pure costretti all’atroce pratica del regalo o, peggio ancora, della busta.

Ora, miei cari lettori desiderosi di conoscientia, dovete sapere che tradizione vuole che il regalo o la busta deve essere proporzionale allo sfarzo delle cerimonia. Quindi, se si organizza una cosa in comune con fetta di torta e due dico due confetti, ce la possiamo anche cavare con il cofanetto della prima stagione di Baywatch. Se, invece, prima c’è la chiesa con la sposa che arriva in un auto lussuosa, poi c’è il pranzo con dodici primi, quindici secondi e tre qualità diverse di Citrosidina, ciò che ti resta da fare è rapinare un’idraulico oppure vendere parti del corpo su e-bay. (A tal riguardo, dopo varie prove, mi sono reso conto che è c’è molta poca richiesta di peni in leasing o in comodato d’uso)

Questo è solo per mettere il problema in termini generali. Passiamo adesso ai problemi che io ho col matrimonio.

In primo luogo non credo nel matrimonio. Non solo perché sono anticlericale, ma perchè lo vedo solo come un atto legale attraverso cui due persone che si amano si parano il culo dallo Stato e da eventuali parenti stronzi nel caso in cui uno dei due decida andare al creatore prima di aver dato all’altro il codice del bancoposta.

Certo, sono uno stronzo, non sono per niente romantico e per questo finirò triste, solo e senza neppure la soddisfazione di poter scegliere delle bomboniere di merda che i miei amici saranno costretti a esporre in casa nel caso mi dovessi presentare a sorpresa! Ok, avete ragione, ma fatemi finire prima di cacarmi il cazzo…

L’amore è qualcosa di intimo per me, che non ci sembra ma sono un giovanotto timidissimo, qualcosa che non va ostentato. Certo, mi direte: ma è un giorno felice, è giusto condividere quella gioia!
A sto punto, non posso che dire: “Taci miserabile!
Vedi un po’ il padre della sposa che ha cacato tutti quei denari, guarda quei poveri invitati che sono costretti a stare seduti al tavolo con gente di cui non gliene frega un paio di balle, guarda il testimone dello sposo che si domanda se si farà di nuovo una sgroppata da dieci con la sposa… loro non sono felici, sono martiri innocenti per i quali vorrei che tu prestassi almeno un minuto di silenzio (o mimassi un chionzo in loro onore).

In secondo luogo trovo offensivo l’eccesso di invitati che ci sono in queste occasioni. Voglio capire l’amico di vecchia data che ti invita perché hai assistito alla sua storia d’amore sin dal primo momento, quando con un po’ di vergogna ti disse: “Mi sto tenendo a un cesso allucinante, però chiava bene… però non dire niente, è giusto una cosa così!” In questo caso ha senso, ci partecipo con un certo fastidio ma ci partecipo.
Ma in tutti gli altri casi: not in my name. Vi faccio il regalo, vi faccio la busta, do anche un paio di colpi alla damigella come è da tradizione, ma niente chiesa, niente comune e, sopratutto, niente pranzo!

E, invece, solo questo mese mi sono arrivati ben tre inviti, tutti declinati, ai quali ben due futuri sposi, invece di ringraziarmi per averli fatti risparmiare sul catering, mi hanno detto: “Non me l’aspettavo, mi sento offeso”.
Perchè la cosa assurda è che io devo rispettare le credenze altrui, ma gli altri non possono rispettare il mio disagio, questa specie di orticaria che mi prende manco stessi guardando un programma di Luca Sardella.

Perché poi, siamo sinceri, cosa è il matrimonio?
La tomba dell’amore dice qualcuno, l’arte di risolvere in due quei problemi che da solo non avevi dice qualcun altro… o, più semplicemente, l’inizio di una lunga e travagliata strada che porta al divorzio.
Pensateci, tutti i peggiori divorzi sono iniziati così, con un matrimonio!

Lo zen e la sublime arte di cacarsi il cazzo

27 Jan

Il cacamento di cazzo: esiste concetto più nobile?
Il cacamento di cazzo è un po’ come uno spirito antico insito in ognuno di noi, molto spesso sopito, ma che scalpita e si fa sentire nei momenti in cui la noia, il fastidio e l’irritazione si fanno largo.
Quando questi tre demoni pungolano la vostra quiete, ecco che arriva il cacamento di cazzo: si muove dentro di voi, si agita, sgomita, sino a quando non prende il sopravvento e voi esplodete in una esclamazione di sanissima intolleranza. Tipo: “Ma sai che ti dico? Ma chi cazzo me lo fa fare di ascoltare le tue stronzate? Sai che c’è, io me ne vado… tu resta pure qua e continua a parlare!”

Toni Servillo è diventato il nuovo emblema dell'arte di cacarsi il cazzo, al grido di "Ma vafanculo 'sta cretina!"

Toni Servillo è diventato il nuovo emblema dell’arte di cacarsi il cazzo, al grido di “Ma vafanculo ‘sta cretina!”

Cacarsi il cazzo è un concetto nobile e profondo, con radice antichissime, e che ha permesso di vivere la vita in modo semplice e sereno. Secondo due principi molto semplici:
1) Sto bene con te, resto
2) Mi caco il cazzo, me ne vado (e se provi a trattenermi ti mando pure affanculo)
Purtroppo un giorno è arrivato Voltaire con quella storia del non essere d’accordo con le idee ma difenderle comunque, con la tolleranza e altra roba del genere e così, ahinoi, ci siamo costretti a subire lunghi ed interminabili cacamenti di cazzo, senza mai farli esplodere.

E questo è un male per varie ragioni. Qui di seguito vi elenco le più importanti:

1) Quando evitiamo di dire a qualcuno che ci sta cacando il cazzo, questi si sentirà invogliato a continuare, quindi indirettamente gli diciamo: “Oh ma tranquillo, cacami il cazzo tutte le volte che vuoi. Ce l’ho proprio per questo”.

2) Se proviamo quella sensazione di enorme fastidio quando qualcuno ci caca il cazzo è perchè il corpo, la mente e lo scroto ci dicono che quella situazione non ci piace, ci annoia, ci infastidisce. Se lo ignoriamo ecco che arriva lo stress, la frustrazione e, infine, la depressione. Andate così da uno psicanalista che non capisce un cazzo di niente e vi dice non solo di accettare quell’emozione, ma anche di analizzarla per bene. Così il vostro cacamento di cazzo addirittura aumenta, per non parlare dei livelli che raggiunge quando vi rendete conto di quanto state pagando in psicanalisi. Quando, invece, sarebbe stato molto più sano ed economico un onesto vaffanculo.

3) Ma vi rendete conto di quanto tempo perdete quando non date retta al vostro cazzo cacato?
Mettiamo il caso che sono ad una cena e tutti parlando di Santoro, di Grillo, citano le vignette di Vauro, poi si scagliano contro Berlusconi, passano a Renzi e, infine, controllano il loro i-phone per vedere se ci sono commenti alle foto che stanno scattando della serata. Non so voi, ma in una situazione del genere io lascio andare il mio cacamento di cazzo e me ne vado. Sarà maleducato, sarà poco diplomatico. Ma qual è l’alternativa: stare per ore e ore con un gruppo di imbecilli, a parlare di altri imbecilli? Sò due ore della mia vita, le voglio impegnare come si deve, facendo cose più produttive: anche dormire in questo caso va bene. Ora pensate a tutte queste occasioni e fate il calcolo di tutto ciò che potevate fare se solo non fosse stati così teneramente tolleranti.
E ora pensate a cosa succedeva se vi cacavate il cazzo e ve ne andavate? Ore e ore di tempo da poter impiegare per tutte quelle cose che non avete il tempo di fare. E che vi fanno dire: “Oh, com’è triste la mia vita non ho il tempo per fare…” E così, a vostra volta, cacate il cazzo agli altri.

4) Tenete conto che il cacamento di cazzo è un atto naturale, sano e genuino. E quando vi sottraete ad esso il mondo diventa un posto peggiore perchè, come accennato sopra, vi trasformate a vostra volta in dei cacacazzo di dimensioni bibliche.

Insomma, il cacamento di cazzo è un concetto che ha le sue radici nello zen, nella capacità di mantenere equilibrio tra lo yng e lo yang (che poi sono concettualizzazioni dei vostri coglioni, reali o metaforici che siano). Il suo rispetto equivale al rispetto dell’ordine cosmico.
Chi diavolo vi credete di essere per non rispettare l’equilibrio stesso dell’universo?

 

La bellezza degli stereotipi – quando internet combatte contro le stronzate

6 Jan

 

L'Europa secondo gli stereotipi di Berlusconi.

L’Europa secondo gli stereotipi di Berlusconi.


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Non mi interessa neppure sapere quale sia stata la battuta sul classico stereotipo napoletano, né in quale film sia stata messa. Non è spocchia ma la sola idea di dover approfondire un argomento del genere mi annoia. L’immagine di un comitato che resta a bocca aperta, completamente scandalizzato, attonito e offeso è degna di un film con Leslie Nielsen. 

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Siamo sinceri, tutti noi usiamo degli stereotipi, sono delle banali semplificazioni che ci permettono di ragionare in fretta e non dover perdere tempo anche sulle decisioni più cretine; di alcuni ne siamo consapevoli, di altri meno; alcuni sono più condivisi, altri meno; non c’è molto altro da aggiungere.
Forse solo una cosa, che i poveri scandalizzati (mi offro personalmente per una seduta di pnl per eliminare il trauma che hanno subito) sembra abbiamo dimenticato: gran parte della comicità si basa sugli stereotipi!


La vera idiozia di questa storia (così come di tutte le altri simili) è che ci dimostra uno degli elementi più grotteschi dell’essere umano: la convinzione che quelli degli altri sono stereotipi, mentre i propri dei distillanti di verità.
Mi spiego meglio: nel mio blog uso spesso gli stereotipi, quelli più grezzi e anche banali, insomma, non vado per il sottile. Così capitano spesso delle situazioni che hanno uno schema comune: 1) una persona mi scrive i complimenti per una battuta, specificando che la mia descrizione (a tutti gli effetti una semplificazione stereotipata) delinea perfettamente una tipologia umana, 2) la stessa persona mi insulta per un’altra battuta, accusandomi di essere stato offensivo e fuori luogo.
Ciò che è interessante è che, volendosi applicare un po’, mi rendo sempre conto che chi si sente offeso è perché lui stesso in primo luogo si riconosce nello stereotipo che ho preso in giro.

….
Certo, tutto questo prima di internet era assente. E questo per un motivo specifico: tutti abbiamo a disposizione 24 ore nella giornata – un po’ le usiamo per dormire e mangiare, un po’ per lavorare e un po’ per divertirci ma, in ogni caso, sono sempre e comunque 24 ore.
Protestare nell’era precedente al web 2.0 comportava una serie di azioni:  informarsi, organizzarsi, uscire di casa, protestare, prendere contatti; e tutto questo occupava tempo. Oggi, invece, si ha la percezione che si possa fare tutto questo dal proprio pc, magari anche mentre si lavora, senza doverci investire chissà quale grande quantità di tempo.
Il punto è che le proteste pre-internet si facevano notare per la loro fisicità e venivano percepite di maggior valore proprio perché le persone in carne ed ossa ci investivano il proprio tempo materiale, sottraendolo ad altro.
Oggi non solo ciò non accade ma, data la facilità della protesta, questa pratica si è diffusa, moltiplicando esponenzialmente il numero di proteste. Le conseguenze sono ovvie: 1 l’attenzione non è più indirizzata ad un unico punto ma a molti di più, 2) con conseguente diminuzione del fattore adesione, 3) questo già annacquato dalla mancanza di fisicità (solo una minima parte delle proteste si converte in un atto che esula la rete), 4) e, per forza di cose, ne fa diminuire non solo il senso di adesione pratico, 5) ma anche la percezione di importanza.
Per sintetizzare: protestare sulla rete (tranne rarissimi casi) non serve a nulla!
Ma alimenta il senso di rabbia e l’illusione che si stia davvero combattendo per qualcosa.

…..
Personalmente ho sempre trovato divertente gli stereotipi ma per una ragione non particolarmente comune: gli stereotipi ci offrono tantissime informazioni sulla persona che li pronuncia.
Quando dico ad un mio amico di colore “Quelli come te vengono qui a fregarci le donne e il lavoro” lui ride non per la battuta (che, in fin dei, conti non ha nulla di divertente) ma per il ridicolo associato a chi pronuncia una cosa del genere.
E questa cosa, per quanto apparentemente superficiale (o troppo complessa, a seconda dei punti di vista) è la chiave di volta del problema. Lo stereotipo rappresenta una forma di ignoranza. Semplificare qualcosa a due o tre elementi e massimizzarli vuol dire proprio ignorare tutti gli altri. Lo stereotipo, insomma, informa dell’esatto numero di cose che chi lo utilizza non conosce (e, in certi casi, denota anche l’arroganza del possesso della verità).
Da questa prospettiva ha un potenziale di comicità addirittura superiore. E risulta essere più potente dell’inutile scandalizzarsi nel voler affrontare l’ignoranza che l’ha prodotto.

Guida alla chiantella dell’ultimo dell’anno

29 Dec

Siamo alla fine dell’anno, è tempo di bilanci, tempo di tornare all’anno passato quando, proprio in questo periodo, elencavate i vostri buoni propositi:
Andare in palestra almeno due volte a settimana
Farsi un fine settimana a Londra
Spertosiare la segretaria dell’ufficio accanto 
Decidersi a seppellire il gatto in giardino. 
Quanti ne avete realizzati?
Se vi guardate allo specchio e siete sovrappensiero quasi vi spaventate urlando: “Marò, e che è quella massa di sebo?” Il vostro ultimo viaggio è stato a Grumo Nevano e solo perchè vi siete spersi sull’Asse Mediano. Con la segretaria ci siete usciti, siete andati a teatro, poi dal giapponese, infine in un bar, avete pagato sempre voi e alla fine lei vi ha salutato dicendo: “E’ stato bello, rifacciamolo”. E basta.
E tutto il vostro appartamento feta di micio in putrefazione, tanto che i condomini cacano il cazzo un giorno sì e l’altro pure all’amministratore per velocizzare l’ordine di sfratto.
Siamo sinceri: avete avuto un anno di merda!

Quindi qual è il modo migliore per mandarlo degnamente affanculo e dare il benvenuto al nuovo anno  inaugurandolo come si di deve?
Guardare l’intera Trilogia di Guerre Stellari?
Mannò, piccolo nerd che procreerà solo per gemmazione! Il miglior modo è farsi una bella chiantella propiziatoria.
Ma ATTENZIONE scegliere il giusto partner può essere molto pericoloso, anche perchè puntando sull’obbiettivo sbagliato si potrebbe rischiare un flop.
Per questo la UMBERTOSKJ’S IDEE MIRABOLANTI ha deciso di stilare per voi una miniguida per godere al meglio della vostra chiantella di fine anno.

 

EVITATE GLI ERRORI DA PRINCIPIANTI

Che poi sarebbero quegli errori che fanno prendere scuorno pure a Godzilla.

Che poi sarebbero quegli errori che fanno prendere scuorno pure a Godzilla.

Siamo pratici: siete ad una cena o ad un veglione e che fate? Puntate la più gnocca o il più figo del posto! Miei magnifici lettori questa è il miglior modo per non chiavare! Anche perché tanti altri stanno facendo la vostra pensata e lì in mezzo c’è di certo qualcuno che non voglio dire sia meglio di voi, ma è di gran lunga molto meglio di voi!
Quindi cosa fare? Puntare il più cesso?
Ecco il secondo errore da principiante. Dovete sapere una cosa infatti, per quanto è opinione comune che i cessi siano simpatici la cosa non è sempre vera, spesso i cessi sò pure antipatici, perchè si sentono brutti, vengono trattati come brutti e ovviamente un po’ di rosicamento di culo ce l’hanno. Così magari approcciate e quello/a vi tratta come se foste il cuore pulsante del suo grappolo di morroidi. E onestamente: voi veramente volete cominciare il nuovo anno prendendo un palo da un cesso?
Ma quindi, oh illuminante Umbertoskj, chi dobbiamo puntare?
Mie dolci menti desiderose delle endorfine dell’amore, vi rispondo subito:
– Quelli che hanno la faccia da chi pensa “Se neanche stasera trombo mi suicido col guttalax”
– I ragazzi e le ragazze bruttine che vengono scelti sempre per secondi o terzi (fateli sentire la vostra prima scelta e a mezzanotte potete anche rivolgermi un pensierino di ringraziamento)
– Gli amici con cui si è spesso scherzato con l’eventualità di farlo prima o poi… fateli bere, mettetela sullo scherzo e, in caso estremo, portate con voi una pillola di roipnol. 
– L’ex findanzato/a (possibilmente se è venuto col nuovo partner)

CONTROLLATE IL TASSO ALCOLICO
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Lo/a trovate attraente e, un po’ per culo e un po’ perchè avete evitato gli errori di sopra, siete ricambiati. Adesso dovete fare attenzione al suo tasso alcolico. Non prendere in considerazione questo particolare potrebbe rivelarsi fatale.
Se eccessivo potete finire a letto (o sul divano) con un corpo in coma irreversibile, potrebbe vomitarvi addosso, potrebbe scoppiare in lacrime e dirvi tutto ciò che non ha mai avuto il coraggio di dire al suo analista lacaniano; nel caso di una donna, se eccessivo, potrebbe collocare l’atto sulla linea maginot che separa una chiantella di capodanno da uno stupro; nel caso di un uomo, l’eccesso di alcol potrebbe influire sul processo idraulico che fa funzionare la sua erezione, rendendola praticamente nulla.
Quindi controllate quanto ha bevuto, con la scusa di preparare il cuba libre rifilategliene uno dove c’è quasi solo coca cola; state attenti a quanto mangia, deve essere abbastanza da assorbire buona parte dell’alcol ingurgitato.

FATE ATTENZIONE ALL’AMBIENTE

Non sapevo che immagine mettere, poi ho pensato alla Fenech e ho capito che poteva andare benissimo.

Non sapevo che immagine mettere, poi ho pensato alla Fenech e ho capito che poteva andare benissimo.

Non visto dicendo di avere a cuore l’ecologia, ma di controllare che ci sia fisicamente un luogo dove poter consumare la vostra triste, disperata e probabilmente insoddisfacente passione (però guagliù, avete chiavato l’ultimo dell’anno, battete cinque!)
Mi spiego meglio: non potete semplicemente spogliarvi e farlo sulla tavola davanti a tutti (a meno che questo non sia l’esplicito programma della serata) dovete trovare un luogo minimamente appartato.
L’ideale è la stanza da letto dei padroni di casa, ma se vi acchiappa il padrone di casa un poco poco secondo me si incazza. Sconsigliatissimo, invece, è il bagno: buono solo per una sveltina, ma mentre la fate – data la vostra sfiga – ci saranno almeno tre persone in fila a bussare perchè il greco di tufo si sta ripresentando sotto nuova forma.
In ogni caso, il momento migliore per dare via al momento di passione è quello in cui quasi tutti sono impegnati nel trenino e nel ballo, anche perchè in quel momento nessuno vi cercherà.

 

CONSIGLIO FINALE

Alla fine del vostro veglione, vi capiterà una cosa un po’ buffa: con discrete possibilità, la persona con cui avete pelliato vi chiederà se vi rivedrete. Mantenete la calma e rispondete: “Ma certo”. Mi raccomando, mentre lo dite siate tranquilli: tanto il numero di cellulare non gliel’avete dato, il contatto facebook neppure… mentre prova a trovarvi, secondo me, gli passa la voglia e si cerca un altro/a.

Le 5 domande del cazzo che ti fanno se sei un ipnotista

18 Dec

Evvabbè, diciamolo pure a chi non mi conosce di persona: io sono un ipnotista. Cioè: mi occupo di una cosa strana che si chiama programmazione neuro-linguistica (ho impiegato almeno due giorni per imparare il nome) e di ipnosi e, certi sciem vanno pure a dire che in giro che sono abbastanza bravo da tenere corsi per quelli che vogliono rubarmi la fatica.
Insomma, direte voi, ma a noi che cosa ce ne fotte?

Assolutamente niente, per carità.
Solo che stavo su facebook, quando ho letto un post su le cinque risposte del cazzo quando dici di studiare psicologia. Così ho deciso di scrivere le domande del cazzo (perchè magari fossero blande affermazioni) che mi vengono poste quando ho l’insana idea di non dire che lavoro al catasto (avete mai fatto caso che nessuno chiede mai un cazzo ad uno che lavora al catasto?)

Che centra la signorina? Niente, però mi piaceva mettere un culo senza motivo.

Che centra la signorina?
Niente, però mi piaceva mettere un culo senza motivo.


MA VERAMENTE FAI? E TIPO MO’ PUOI PURE IPNOTIZZARE QUEL CANE LI’?

Ci sta sempre qualcuno che ti vuole fare ipnotizzare cani, puorci, galline, suocere e altre bestie. Ti incontrano al bar con un amico, l’amico dice che fai di lavoro e quello vuole che gli ipnotizzi un animale.
“Ià, mi fai vedere con quello zingarello?”
“Ma non è un animale”
“E aspè… allora, quel cane lì”
Hanno il volto del bambino che incontra Babbo Natale ma quasi non ci crede.
Hanno lo stesso stesso atteggiamento di san Tommaso che non crede che ha di fronte a sé davvero Gesù e gli spertosa le stigmate.
Che poi, sinceramente, oltre Giucas Casella che ipnotizza una gallina (mi riferisco al pennuto, non a Simona Ventura, non incominciamo con gli insulti gratuiti!) io a gente che ipnotizza animali non l’ho mai vista.
Solo una volta ho provato ad ipnotizzare il mio gatto ma quello dopo due seconda ha fatto la faccia di chi pensa “Oh, ma staj a problema?” e poi si è voltato con superiorità.
(In realtà ci ho provato più volte e poi ci sono riuscito… ma questo è un altro post)


E ADESSO MI STAI IPNOTIZZANDO?

Ad una domanda del genere che vuoi rispondere?
Nel caso di una donna, la cosa più educata e tra le righe può essere: “Sì, però mi sa che non sta funzionando perchè non me l’hai ancora preso in mano”.
Nel caso di un uomo: “Perchè dovrei ipnotizzare qualcuno che non mi ha ancora pagato?”
Fare leva sul soldo dissuade qualsiasi interesse.
Che poi sto fatto che la gente pensi che noi ipnotisti ce ne andiamo in giro a ipnotizzare così, a schiovere, ancora non l’ho capita. E poi che bisogno c’è? La gente è già ipnotizzata di suo, non ha bisogno di noi!
E DICI LA VERITA’, QUANTE FEMMINE HAI IPNOTIZZATO PER CHIAVARTELE?

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Mò siamo sinceri, chi male pensa male fa.
Se tu mi vieni a chiedere una cosa del genere, è perché utilizzeresti l’ipnosi giusto per pescere. E allora sei uno spuorco! Io mi sono fatto il culo per anni, ho studiato centinaia di libri, ho fatto ore e ore di pratica, per farmi arrivare ‘nu strunzill come a  te che sta più arrapato di Berlusconi ad un congresso dei ministri?
E, in ogni caso, per rispondere alla domanda: “Non parliamone, oggi qualcuno ha detto Onolulu la mia fidanzata si è risvegliata e ha, inspiegabilmente, stroncato la nostra relazione così, di punto in bianco”.


ALLORA MI SAI DIRE CHI SONO STATO NELLA MIA VITA PASSATA?

Almeno una volta al mese incontro qualcuno che mi chiede questo.
Cultore di Voyager, estimatore di Mistero, abbonato alla rivista Esoterismo e minchiate, cerca disperatamente sapere chi era nella vita passata.
La cosa strana di questi qui che credono che si possa usare l’ipnosi per queste cose è che ritengono tutti di essere stati dei padreterni. C’è ad esempio chi dice di essere stato un faraone, chi un guerriero, chi ancora un re, oppure una principessa, una dama alla corte di Francia… oh, ma uno che è stato uno spalatore di merda! Nessuno che sia stato il plebeo più mazziato del quartiere San Giovanni!
In ogni caso, quando spiego (elencando pure in modo dettagliato le ragioni) che non è attendibile l’uso dell’ipnosi per scoprire la vita passata, ecco che mi si rivolge un’espressione del tipo: “Vabbuò, come ipnotista non sei buono!”
E allora cosa devo dire?
Dico la verità, che so esattamente chi cazzo era nella vita passata. Era un povero imbecilli che ha passato tutta la sua vita a chiedersi chi sfaccimma sarebbe stato nella sua vita futura! E si diceva pure, speriamo che non sarò un coglionazzo che invece di domandarsi chi è oggi passa il tempo a chiedersi chi era quando ancora non esisteva!
(Però non sono scontroso, eh!)
HAI MAI IPNOTIZZATO UN PROFESSORE PER SUPERARE L’ESAME?

Professò, oggi vi siete svegliati bene e state a genio di mettermi un trenta a vacante!

Professò, oggi vi siete svegliati bene e state a genio di mettermi un trenta a vacante!

Sono sincero, l’ho fatto solo una volta: mi sono presentato all’esame di Sociologia  senza aver neppure comprato i libri e ho preso 24. Poi sicuramente, l’ipnosi ti aiuta a sviluppare buone dote oratorie, carisma, quindi, la cosa mi avrà anche aiutato con gli altri.
Ma la cosa davvero interessante è che dopo questa risposta, arriva l’altra domanda: “E l’hai mai usata per avere una promozione?”
E poi: “L’hai mai usata per fare a qualcuno quello che non voleva?”
E infine: “Ma perchè non la usi per fare una bella rapina?”
Anzi, fino a qualche tempo fa questa era una domanda, ora, con l’uscita del film dei maghi mariuoli, è proprio un affermazione: “Oh, rapinaci le banche”.
Da alcuni detto con un tono un po’ sarcastico, come a voler sottintendere: “Sì sì, rapina stu cazz!”

I 5 impercettibili segnali che vi fanno capire che vi vuole solo per una notte di sesso

10 Dec

Uno dei drammi maggiori della donna moderna è quello di districarsi in un mondo di uomini allupati che, pur di affondare in loro i denti (e non solo quelli), direbbe e farebbe qualsiasi cosa.
Così una ignara pulzella esce con un uomo, ignorando che egli – subdolo – gli sta offrendo il teatro, la cena e il caffè al Gambrinus non come omaggio alla sua compagnia, ma perché vuole abusarne il corpo e lo spirito (ma fondamentalmente il corpo); quale orrore! La malcapitata si ritrova sedotta e abbandonata, con accanto una metà vuota del letto, che ancora odora del dopo barba di lui e su cui è posato, tipo muta di un serpente, un parapesce.

Indi per cui, giovani donne: vengo in vostro soccorso.
Ecco a voi 5 segnali impercettibili che vi fanno capire se l’uomo con cui state uscendo pensa a voi unicamente come partner sessuale

Esempio di uomo di classe che potrebbe rivelarsi solo un gran porco.

Esempio di uomo di classe che potrebbe rivelarsi solo un gran porco.

1. Manco vi siete visti da due minuti e lui già dice: “Allò, vuò chiavà?”
In primo luogo, apprezzatene la ruspante schiettezza.
Poi fate i vostri calcoli: il maschio di fronte a voi vuole portare il bambiniello sulle giostre, voi ora potete farlo entrare a divertire (che poi magari vi divertite pure voi) oppure chiudete i cancelli.
Però, sul serio, prima di dagli del rattoso, apprezzatene la sincerità!

2. Vi dice: “Sai sono appena uscito da una storia importante”. 
Sottotesto: tengo la capa a pazziella.
Ora io lo so che ci stanno un sacco di femmine che se ne escono pensando che, malgrado questo, loro possono cambiarlo, che possono vedere in loro una seconda possibilità… ma non è così. L’unico pensiero del maschio in queste occasioni è: “Ho sparso il seme in un solo pertoso, mò ne devo ingarrare almeno altri sei o sette”.
Insomma, si vuole fare sono una chiantella. Fatevene una ragione.

3. Si lascia scappare che lui si dedica molto al lavoro e che in questo periodo è la sua priorità. 
Insomma, ve lo sta dicendo forte e chiaro, non ha tempo per voi: ha bisogno di soldi, e sapete perchè? Perchè vuole piacere alle donne come voi che cercano un cazzo di uomo in carriera… ma poi alla fine quel tipo di donne non lo vogliono perché lui pensa solo a chiavare e loro ad accasarsi.
Sta vivendo un dramma interiore.
Comprendetelo.

4. Vi dice: “Ti amo”. Al primo appuntamento. 
Diventiamo seri: ci sono femmine che poi veramente ci credono. Cioè bello e buono arriva questo qui, vi dite quattro cazzate, un paio di bacetti, magari un po’ di mano sulla zizza. Poi dice: “Ti amo”. E tu che fai? Ci credi?
Mò voglio pure capire che tieni na zizza che è potente… ma fino a questo punto?
Per farla breve: sta mentendo per portarvi al proprio talamo (o al cesso più vicino). Se così non fosse, si tratta probabilmente di uno psicopatico.
Ecco, in quel caso magari l’avete trovato il tipo che vuole una cosa seria.

5. Inizia a scapocchiarselo, dicendo: “Te piac’o siscariell?”
Mentre siete ancora al tavolino del bar e il cameriere ancora non è passato a prendere le ordinazioni.
Tendenzialmente questo comportamento evince un’assenza di volontà ad impegnarsi in una relazione stabile.
Però che ne sapete? Potreste essere l’eccezione che conferma la regola.

 

Chionz! Una favola natalizia

4 Dec

Come quest’estate, mi ho messo asscrivere una novela troppabbella, siccome che sono scrittore fernuto.
Se tutto va come spero (ovvero: non mi caco il cazzo come al solito) dovrei finirla appena prima di Natale, di modo da metterla sul blog in formato e-book come regalino per mamme, nonne e zie ninfomani.
Quindi: nessuno dica che non ho spirito natalizio!

In più, siccome che non so che cacchio mettere nel blog in questi giorni, vi posto un pezzettino di questo fantastico romanzo che farà dire a Paulo Coelho: “Ngulo al cazzo, che profondità!”

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Tutto era cominciato con quella cosa brutta di Ilaria Persico, che avrà pure avuto le zizze grosse ma oltre quelle non aveva altro. Eppure, come molte ragazze un poco cesse, aveva appresso uno stuolo di spasimanti tutti convinti che, per il solo fatto che non fosse sto granché, doveva essere facile chiavarsela. E invece no, Ilaria se la tirava pure, si atteggiava come tutte le studentesse del Dams di Roma, per quanto ogni fine settimana stava buttata a piazza Bellini, fumando sigarette scroccate, squagliando fumo scroccato e bevendo birra pure quella scroccata ad uno di quei fessi che pensava bastasse farla bere per rimediare una pelle. Ma Ilaria reggeva bene sia l’alcol che il fumo, per non parlare del fatto che, quando si spingeva oltre, l’idea di un rapporto sessuale non la sfiorava minimamente, le sue fantasie erotiche al massimo si gingillavano con l’idea di un piumone, di un pigiama di flanella, di calzini di spugna e di David Foster Wallace, un leone di peluche che le aveva regalato il fidanzato del liceo.
Filippo aveva deciso di provarci con lei perchè in quel periodo non è che avesse a disposizione molto altro, e pure perchè anche lui aveva fatto l’errore di credere che una del genere quantomeno ci deve stare per disperazione. Così, in breve, quella che doveva essere una cosa veloce per ottenere un’esperienza ludico ricreativa con quelle tette enormi (insomma, pe purtà o bambiniell ngopp’e giostr) si era trasformata in una Pearl Harbor emotiva, che aveva convinto Filippo di essere addirittura innamorato di Ilaria Persico. Se non avesse creduto questo, il suo cervello sarebbe esploso al pensiero di passare così tanto tempo appresso quel cesso senza rimediare manco un chionzo di cortesia.

Il punto di non ritorno lo aveva raggiunto quando lei, tutta languida, gli aveva chiesto: “Pippo, ma lo organizziamo un festino?”
“E dove?” aveva domandato Filippo.
Ilaria, candida come una malattia venerea, aveva risposto: “Come ma dove? A casa tua!”
C’è da dire che in quell’occasione Filippo Patriciello stava tentando di far ubriacare la ragazza, così mentre lei manteneva un buono stato di lucidità, lui era così sbronzo da doversi sedere su uno degli scalini della biblioteca di piazza Bellini, giustificando quel mancamento fingendo una sciatica che per l’età che aveva doveva essere al massimo un preoccupante segnale di senilità precoce. Fu proprio per questo che quando Ilaria parlò di festino, lui lo intese in modo letterario, ovvero piccola festa, magari tra pochi amici. “Ma sì” rispose. “Chiamo Marco il tossico, Pierino seven up, insomma i soliti… un paio di cannette, suoniamo insieme qualcosa. Una cosa tranquilla”.
“Sì sì” rispose Ilaria. “Una cosa tranquillissima”.

Sfasulati a Bellini

Sfasulati a Bellini

Nel piano di Ilaria c’era anche quello di prendere cento euro di fumo e venderlo alla festa. “Ma giusto per pagarci il disturbo” ci tenne a precisare. “Mica perchè mò ci mettiamo a fare gli spacciatori”. Così aveva mandato Filippo da un pusher, tranquillizzandolo dicendo: “Tanto quello è un amico mio. Tu digli che ti mando io, noi vendiamo tutta la roba alla festa. Poi con l’incasso ci paghiamo lui e la parte restante ce la teniamo noi”. Dove per noi intendeva il plurale maiestatis col quale si riferiva a sé stessa ogni volta che si impegnava in una qualsiasi azione imprenditoriale.

Quando Filippo si presentò dallo spacciatore con la proposta di prendere cento euro di fumo e pagarglieli due giorni dopo, il pusher quasi gli rise in faccia. Filippo era andato sino al suo appartamento a piazza Mercato, condiviso con altre quattro persone di colore, che lo guardavano malissimo e iniziarono a guardarlo ancora peggio quando lui fece la proposta.
“No belo” disse Karim. “Niente soldino, niente marochino” quasi compiacendosi di quella rima, che almeno dimostrava che stava acquisendo sempre più dimestichezza con l’italiano.
“No, dai” continuò Filippo. “Me lo devi fare questo piacere. Senti, non lo fare per me, ma… come farti capire… se mi fai sto piacere io faccio proprio una bella figura con una femmina”.
“Ah, una femina. E’ com’è, com’è questa femina?”
“La conosci pure tu, è quella che mi ha dato il tuo numero, Ilaria”.
Karim si limitò a strabuzzare gli occhi, fece un grosso sospiro, cacciò dalla tasca un pezzo di fumo e iniziò a preparare una canna: se quel ragazzo andava appresso a un cuoppo allucinante, il minimo che poteva fare in qualità di buon musulmano era farlo fumare. Lo portò nella piccola cucina dove c’era solo una pentola su un fornello spento e gli disse: “Guagliò ma tu non sei male, spiegami il perché”.

Filippo a quella domanda si illuminò, nessuno gli aveva chiesto le ragioni del suo amore, e ora che qualcuno gliele chiedeva si rese conto che non vedeva l’ora di raccontarle. Fece un grosso respiro, ma quando iniziò a parlare non riuscì a dire nulla. Si fermò per qualche secondo e, nel momento in cui tentò di nuovo di raccontare, ecco che l’aria non uscì dalla gola. Cercò persino di ordinare i pensieri ma l’unica cosa che realizzò a riguardo fu che non ne aveva nessuno. Ilaria era un paio di zizze circondato da un pessimo contorno. “Vabbè, comunque devi sapere che è una ragazza piena di personalità” rispose. “Cioè come farti capire… è una ragazza decisa, intelligente, che sa quello che vuole, mica come quelle classiche tipe superficiali. E poi è pure una ragazza seria”.
“Seria?”
“Sì seria, mica una di quelle mezze zoccole che vanno con tutti”.
Sinceramente Karim non sapeva se Ilaria Persico andasse con tutti, ma era certo che si era tenuta due dei suoi coinquilini che, il giorno dopo, suibito avevano detto che erano ubriachi e che poi nell’oscurità del locale mica si capisce bene. Il locale in questione era il Kinky, un postaccio dove si ascoltava musica raggae, frequentato per lo più da ragazzi di colore e da ragazze bianche alla ricerca di ciò per cui i neri sono famosi nel mondo (aldilà del senso del ritmo). Karim l’aveva vista più volte lì, aggirarsi col fare della preda che vuole essere cacciata, la osservava con una certa indifferenza, le vendeva tutta l’erba che voleva, tanto poi l’avrebbe offerta a dei suoi connazionali, anzi, un paio di volte aveva avuto l’impressione che ci stesse provando con lui, ma le aveva fatto capire che non era aria.

D’improvviso uno dei coinquilini chiamò Karim. Si alzò, passò la canna a Filippo dicendo di finirsela tutta. Filippo dette un primo tiro e poi un secondo, rendendosi conto che c’era uno strano odore. Annusò la brace della canna e poi il filtro ma era tutto regolare. Iniziò a posare lo sguardo da un angolo all’altro della stanza, sino a quando non si posò sul fornello e la pentola. Si alzò e andò a controllare cosa ci fosse dentro: quando sollevò il coperchio, una zaffata di merda quasi gli tolse il fiato. Per poco non vomitò. Posò immediatamente il coperchio e tornò a sedersi, col senso di colpa di chi ha appena fatto qualcosa di proibito.
Ma che fanno questi qui, si cucinano la merda? Si domandò Filippo Patriciello e per una volta tanto nella sua vita due neuroni si incontrarono quasi per sbaglio producendo una sinapsi abbastanza interessante. “Ma vuoi vedere che…” sussurrò a sé stesso senza finire la frase, si alzò dalla sedia, tornò alla pentola e sollevò di nuovo il coperchio. In mezzo a quel cumulo putrido c’erano degli ovuli che dovevano contenere fumo o cocaina, in ogni caso droga. Fece per immeggerci una mano dentro ma subito si fermò. E che sfaccimma, così faccio peggio di Trainspotting! Iniziò a cercare nei cassetti qualcosa come un cucchiaio o una forchetta, senza alcun risultato. “Vabbuò!” si disse per farsi coraggio: infilò la mano sentendo che il contenuto era ancora tiepido, notando come i peli del polso si lasciavano tirare dal peso di quella roba che si appiccicava alla sua pelle. Questa volta il conato di vomito dovette trattenerlo, prese immediatamente il primo ovulo che gli capitò sotto mano e, così come fa un bambino quando ruba, subito se lo portò in tasca. Fu un semplice riflesso condizionato, ma non appena la mano fu lì dentro, premendo sulla coscia, si rese conto di cosa aveva fatto. E anche di come la stoffa della tasca fosse così sottile da lasciar passare il parte del contenuto dell’intestino di uno sconosciuto proprio sulla sua gamba.
Di colpo si sentì avvolto dalla puzza e si domandò perché è sempre la merda degli altri a fare più schifo, mentre la propria… vabbè fa pure schifo ma non a questi livelli.
“Karim, io ora vado” disse, uscendo dalla cucina e avviandosi verso l’ingresso.
Il pusher stava parlando animatamente con i coinquilini e nemmeno si accorse di lui. Così, quando Filippo si chiuse la porta alle spalle, tirò un respiro di sollievo. Ma non ispirò solo il tipico odore di umido di un palazzo vecchio ma pure quello di merda. E si rese conto di aver chiuso la porta proprio con la mano sporca. Preso dal panico più totale provò a pulirla usando quella pulita e finendo solo per sporcarsi ancora di più. A quel punto, proprio non riuscì a trattenersi: vomitò. E si rese conto che ormai non c’era nulla più da fare, l’unica cosa intelligente che gli restava era sperare che nessuno avrebbe notato un ovulo in meno. Certo, avrebbe dovuto sperare anche che nessuno avesse notato il macello che aveva combinato fuori la porta, ma nei momenti di panico non si può badare a tutto.
Alla fine il festino era saltato, Ilaria gli aveva assicurato di vendere il fumo e poi era sparita per una settimana e, infine, lo spacciatore l’aveva beccato nel bel centro di piazza del Gesù.
Si preannunciava un Natale peggiore di quello in cui suo padre lo aveva minacciarlo di tagliargli i fondi se non avesse dato almeno tre esami l’anno.